Lo stop ad alcuni (non tutti) licenziamenti, la compatibilità con la Cassa Integrazione e dubbi di costituzionalità
Tra le misure più forti adottate dal Decreto Cura Italia e dal Decreto Rilancio vi è sicuramente il blocco dei licenziamenti per ragioni economiche (individuali e collettivi), che il Decreto Rilancio ha prorogato da 60 giorni a 5 mesi e, più precisamente, per tutto il periodo dal 17\03 al 17\08 (seppur, come vedremo, con un vuoto normativo per il 16 e 17 maggio).
È necessario chiarire, preliminarmente:
A QUALI LICENZIAMENTI SI FA RIFERIMENTO ?
A tutti i licenziamenti per ragioni economiche ed organizzative delle aziende, tanto a livello individuale quanto per quelli collettivi, le cui procedure siano state avviate dal 23\02.
A QUALI LICENZIAMENTI NON SI APPLICA ?
A tutti i licenziamenti per giusta causa, a quelli per giustificato motivo soggettivo (disciplinari e per sopravvenuta impossibilità soggettiva della prestazione), a quelli comminati all’esito del periodo di comporto, per raggiungimento del limite massimo di età per accedere alla pensione di vecchiaia o a “quota 100”, ai licenziamenti dei dirigenti, degli apprendisti al termine del periodo di apprendistato, ai lavoratori domestici e, infine, ai licenziamenti collettivi le cui procedure siano state avviate prima del 23\02.
Per rinvenire un divieto analogo occorre risalire al tempo di guerra, Dlgt n. 523\1945, che proibì i licenziamenti in alcune tipologie di imprese nel Nord e che rimase in vigore sino all’agosto 1947.
La violazione del divieto comporta la reintegrazione piena del lavoratore.
Le ragioni di coloro che sostengono la bontà della norma sono le seguenti:
a) la necessità di proteggere i lavoratori, con spirito di solidarietà b) il bisogno occupazionale in una fase di paralisi del mercato del lavoro c) le generali esigenze di stabilizzazione dei mercati d) il congelamento di tutta la società in funzione dell’obiettivo prioritario del contenimento della pandemia.
Non mancano tuttavia i critici di tale disposizione, che ritengono che il peso economico del divieto non possa essere riversato, ancorché parzialmente, sul sistema delle imprese; da qui, il parallelismo funzionale e temporale che è stato stabilito tra la sospensione dei licenziamenti ed il rifinanziamento straordinario della Cigo: tuttavia, se con il decreto Cura Italia la simmetria era quasi perfetta (60 giorni di blocco dei licenziamenti e 63 di ammortizzatori, senza quindi oneri particolari per il datore di lavoro), con il Decreto Rilancio la simmetria è venuta sensibilmente meno.
Infatti, se si considera che il blocco dei licenziamenti perdurerà sino al 17\08 e che la massima estensione della Cigo è consentita per 9 + 5 settimane (mentre le ulteriori 4 settimane potranno essere usufruite solo fra settembre ed ottobre), potrà accadere che un’impresa che abbia usufruito ininterrottamente del primo periodo di Cigo esaurirà la Cig disponibile a fine maggio, con la conseguenza che fino al 17\08 dovrà sostenere per intero il costo dei dipendenti (anche qualora non sia nelle condizioni di poter impiegare tutto o parte del proprio organico).
Inoltre, se il lavoratore non può essere utilmente impiegato dall’azienda (e non vi è più la possibilità di ricorrere alla Cig, l’obbligo retributivo permane a carico del datore di lavoro? Una domanda che, applicando le norme codicistiche (art. 1256 Codice Civile), dovrebbe avere una risposta negativa in quanto l’impossibilità sopravvenuta non imputabile alle parti le libera dalla reciproche obbligazioni (di lavorare e di retribuire).
Venendo ai dubbi sulla legittimità costituzionale di un divieto così ampio, gli stessi sono anzitutto emersi in relazione all’art. 41 che tutela la libertà di impresa, libertà che sarebbe oltremodo compromessa nel caso in cui un’azienda -a seguito della pandemia- decidesse di chiudere; in tal caso, non potrebbe licenziare il proprio personale, dovendo di fatto attendere fino a metà agosto.
Ai dubbi costituzionali occorre infine aggiungere la leggerezza normativa del legislatore laddove ha disposto la proroga sino al 17\08, “dimenticando” di coprire le giornate del 16 e 17 maggio, sulle quali si confida possa essere effettuata una rettifica in sede di conversione del Decreto: se così non fosse, infatti, i licenziamenti disposti in quei due giorni dovrebbero essere considerati leciti (anche se non necessariamente legittimi) proprio perché non coperti dallo scudo del blocco.
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