Con l’espressione hate crimes -crimini d’odio- si fa riferimento a tutti quei reati perpetrati nei confronti di una persona in ragione della sua appartenenza ad un particolare gruppo sociale, etnia, religione oppure in ragione del suo orientamento sessuale, della sua identità sessuale o delle sue caratteristiche fisiche o psichiche.
L’elemento che connota questo tipo di reati è rappresentato dal fatto che il reo pone in essere una condotta lesiva dei diritti di un altro individuo in quanto soggetto riferibile ad una certa categoria di persone, cosicché l’obiettivo non è soltanto colpire quel determinato soggetto ma l’intero gruppo sociale in cui l’aggressore lo identifica.
Ciò che viene in rilievo nei crimini d’odio non sono solo le idee -in senso lato- razziste della persona che compie il reato, ma anche le conseguenze di tali ideologie che fanno della discriminazione la ragione stessa del crimine.
Sotto il primo profilo, negli hate crimes, secondo l’autore del reato, la vittima merita di essere aggredita per il solo fatto di appartenere a quella categoria che egli ideologicamente non accetta. Qualsiasi reato può essere qualificato hate crime quando il movente è la discriminazione generata dalle convinzioni ideologiche di chi lo commette.
Per fare un esempio: picchiare selvaggiamente un omosessuale non costituisce di per sé un hate crime ma lo diventa allorché la ragione del pestaggio risiede proprio nell’orientamento sessuale della vittima. L’azione delittuosa negli hate crimes ha, poi, un significato diverso da quello di un comune reato, per il fine perseguito dall’agente.
L’obiettivo infatti non è semplicemente quello di procurare un danno ad una persona ma, tramite esso, minare, annientare l’identità culturale, etnica o sessuale della vittima e, insieme, del gruppo sociale di riferimento.
Da ultimo, un aspetto particolarmente rilevante degli hate crimes è rappresentato dal c.d. under-reporting, ossia il fenomeno per il quale le vittime e i testimoni di questi reati tendono, per varie e complesse motivazioni (soprattutto di carattere psicologico), a non denunciarli. Spesso, inoltre, i crimini d’odio non vengono riconosciuti come tali dal contesto sociale, rimangono nel sommerso o vengono banalizzati.
Sotto il profilo normativo, sebbene nel nostro ordinamento non sia prevista una specifica definizione di hate crimes, sono comunque presenti diverse disposizioni poste a presidio dei diritti inviolabili dell’uomo e dei principi di pari dignità ed uguaglianza di tutti gli esseri umani, sanciti dalla Costituzione, in particolare agli artt. 2 e 3. Inoltre, in forza dell’espresso richiamo dell’art. 117 della Costituzione ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali, nel nostro sistema vengono recepiti i principi contenuti negli accordi europei e internazionali, tra cui quelli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e la Dichiarazione universale dei diritti umani che espressamente affermano l’uguaglianza degli individui contro ogni forma di discriminazione.
È proprio grazie al diritto europeo, ad esempio, che nel nostro ordinamento i diritti delle vittime degli hate crimes hanno ottenuto nuove forme di tutela, tramite il recepimento della Direttiva 2012/29/Ue, cosiddetta “Direttiva vittime” ad opera del d.lgs. 212/2015. Una vera e propria rivoluzione del nostro sistema di giustizia penale dove, fino ad allora l’interesse della vittima nel corso del procedimento penale era confinato per lo più all’esercizio dell’azione civile volta ad ottenere il risarcimento del danno.
Oggi invece, a tutte le vittime (di qualsiasi tipo di reato) sono riconosciuti precisi diritti che -sinteticamente- si possono riassumere nel diritto di ricevere informazioni in merito alle modalità di accesso alla giustizia, allo stato del procedimento, alla possibilità di ottenere consulenza legale e di accedere al Patrocinio a spese dello Stato e ad eventuali misure di protezione (art. 90 bis c.p.p.). In caso di delitti commessi con violenza contro la persona, inoltre, la vittima ha diritto di ricevere informazioni in merito ai provvedimenti di scarcerazione e di revoca o modifica delle misure cautelari e le deve essere data tempestiva notizia nel caso di evasione dell’imputato o del condannato (art. 90 ter c.p.p.). Ma soprattutto, grazie al recepimento della direttiva, il nostro legislatore ha delineato una particolare tipologia di persone offese dal reato, c.d. “particolarmente vulnerabili” – in cui rientrano a pieno titolo le vittime degli hate crimes- alle quali, nel corso del procedimento penale, vengono riconosciute specifiche tutele. In particolare, ai sensi dell’art. 90 quater c.p.p. “la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”.
Per questa tipologia di vittime, oltre alla disciplina comune, sono previste forme di tutela ulteriori, soprattutto in materia di audizione nel corso delle indagini preliminari, dell’incidente probatorio e del dibattimento, ove l’Autorità giudiziaria può sempre avvalersi dell’ausilio di uno psicologo, deve premurarsi che la persona offesa non possa avere contatti con l’imputato e deve astenersi dal chiamarla a deporre più volte se non nei casi di assoluta necessità.
Sul piano del diritto penale sostanziale, uno dei più significativi interventi in materia di hate crimes si è avuto tramite la L. 654/1975 di ratifica della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale” tramite la quale sono state introdotte nel sistema penale italiano le prime norme penali specificamente dedicate al contrasto del razzismo, tra cui l’attuale art. 604 bis c.p. – propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa.
Successivamente, con il d.l. 122/1993 (convertito con modificazioni dalla L. 205/1993, c.d. “Legge Mancino”) è stato predisposto dal legislatore penale un compiuto sistema di contrasto al razzismo che sanziona, tra le altre, anche la condotta di chi, tramite scritti o discorsi (c.d. hate speaches) mira a screditare una persona o un gruppo di persone sulla base della loro razza, etnia o religione, nonché a istigare all’odio nei confronti delle stesse.
Particolare attenzione merita, poi, l’introduzione ad opera della stessa legge, di una circostanza aggravante contenuta nell’attuale art. 604 ter c.p. applicabile a tutti i reati commessi per motivi di discriminazione razziale o per agevolare le attività di associazioni o gruppi razzisti
L’attuale impianto normativo penale è invece ancora molto carente in materia di crimini motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima. Alla matrice omo/transfobica del reato attualmente può essere data rilevanza soltanto attraverso l’applicazione dell’aggravante comune dei motivi abietti di cui all’art. 61, comma 1, n.1), il che non consente di dare la giusta rilevanza alla gravità del reato commesso per ragioni d’odio.
Un ponderato tentativo nella lotta alle discriminazioni determinate dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale potrebbe essere rappresentato dal disegno di legge c.d. Zan-Scalfarotto, approvato alla Camera e attualmente in attesa di approvazione al Senato, il quale, tuttavia, sta suscitando un acceso dibattito politico.
Tra le modifiche che questo disegno di legge vorrebbe apportare, vi è quella che equiparerebbe i reati con movente omofobico e transfobico ai reati di matrice razzista già presenti nel nostro sistema, intervenendo sul vuoto legislativo in materia che, alla luce dell’evoluzione della società moderna, necessita di essere colmato.
Vi terremo aggiornati sugli sviluppi.
Avv. Emanuela Coffano
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