Lo smartworking al tempo del coronavirus: siamo alle “prove generali”?

Lo smartworking è la modalità di lavoro da remoto che prevede l’utilizzo di strumenti digitali; largamente diffusa in Europa, ancora poco in Italia, ove sono 8,3 milioni i dipendenti impiegati in professioni potenzialmente occupabili con il lavoro agile (manager, quadri, professionisti, tecnici ed impiegati d’ufficio).

Lavorare da casa è una grande rivoluzione, in Italia vista ancora con un po’ di diffidenza. È una rivoluzione culturale che richiede la revisione di processi organizzativi e la formazione dei dipendenti.

Paradossalmente, è l’emergenza Coronavirus a consentire un’implementazione del sistema, soprattutto per assicurare i servizi essenziali; le grandi aziende hanno scelto questa opzione per i dipendenti delle aree a rischio, ed anche la Pubblica Amministrazione, pur con le difficoltà derivanti dalla sua elefantiaca burocrazia, si sta gradualmente attivando.

Il recente decreto del 25 febbraio semplifica le procedure di accesso proprio a causa dell’emergenza sanitaria: non è necessario l’accordo con il lavoratore e l’informativa sui rischi generali per la salute e la sicurezza sul lavoro si può inviare con modalità telematica.

E’ pertanto il datore di lavoro a decidere, trattasi infatti di una modalità di esecuzione del rapporto subordinato, e come tale  soggetta al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro.

Ma il lavoratore può opporsi ? Trattandosi di forma semplificata, parrebbe di no; in ogni caso, la procedura semplificata è utilizzabile solo fino al 15 marzo (salvo eventuali proroghe); dopo tale data si potrà proseguire ma soltanto con la forma ordinaria, che prevede il consenso delle parti.

La sera di sabato 23 febbraio 2020, nel corso di una seduta straordinaria, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge concernente le prime misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica COVID-2019. Tra le disposizioni assunte, si trova l’obbligo di chiusura delle attività commerciali e d’impresa nelle aree interessate da apposita ordinanza, fatte salve quelle inerenti ai servizi pubblici essenziali, come anche la sospensione dal lavoro per residenti extra-territorio ma con sede di lavoro entro i confini della zona di quarantena.

L’art. 3, comma 1 del DPCM 23 febbraio 2020, attuativo del decreto-legge sopra richiamato, ha previsto che «la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, è applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti». Si potrebbe sostenere che il decreto – fermo restano i problemi connessi alla gerarchia delle fonti – tenti di “liberalizzare” l’utilizzo della modalità di svolgimento della prestazione disciplinata dall’art. 18 della legge n. 81?

In realtà, la disposizione del decreto si limita solo a specificare che lo smart working può essere adottato anche senza l’accordo tra le parti, ma nel rispetto dei principi stabiliti dalla normativa di riferimento. In tale quadro i dubbi permangono: in che modo le parti, anche senza l’accordo individuale, possono attivare lo smart working? Se devono essere rispettati i principi della legge n. 81 del 2017, il principio di alternanza resta salvo?  In relazione all’ultimo interrogativo posto, se la risposta dovesse essere positiva, continuerebbe a permanere l’idea di una incompatibilità della disciplina del lavoro agile al caso concreto in quanto la disciplina del telelavoro risulterebbe una soluzione più adeguata alla casistica, giacché la prestazione viene regolarmente svolta al di fuori dei locali aziendali.

Nel contempo il Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha opportunamente convocato le parti sociali per attivare un confronto e valutare gli strumenti utili già previsti dall’ordinamento, nonché eventuali interventi da adottare nell’attuale contesto di “necessità ed urgenza” al fine di renderli immediatamente fruibili alla più ampia platea ragionevolmente possibile.

Sempre nel frattempo, migliaia sono state le aziende che, soprattutto nel Nord Italia, hanno attivato per i propri dipendenti le misure attuative dello smartworking.

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